Di seguito alcune immagini della nostra ripetizione e il bel racconto della prima libera di Gerri!
Di Gerardo "Gerri" Re Depaolini
Il giorno dopo ricevo questi due messaggi da Marco Anghileri; lo chiamo subito per conoscere le sue intenzioni future .
Mi vengono pian piano le lacrime. Mi rendo conto: questo è stato un punto culminante nell'alpinismo, forse il culmine dell'emozione, non si può provare di più, è irripetibile. La mente mi dice: "tieniti stretto tutto questo nella tua memoria, ponilo sotto vetro nel tuo scrigno spirituale, questo è oro puro"
NON
ERA UN UOMO, ERA DIO!
È stato
il Pota , al secolo Matteo Piccardi , a risvegliare il desiderio sopito di
tentare la scalata in libera della mitica Via Bonatti alla Torre Costanza.
Ancora una volta, grazie a lui-mannaggia a lui, mi ritrovo a mettere le mani su
quei gialloni strapiombanti ed un po'
marciotti.
La prima
volta con Armando Crispiani , non ricordo la data , feci un tentativo convinto
che subito si scontrò con la difficoltà di sistemare un chiodo affidabile sul
tratto chiave di quello che ora è il secondo tiro: dopo una mezz'oretta buona
riuscii ad infiggere un chiodo universale in un buco talmente buono da
sembrarmi uno spit.
Uscii dal
tiro con la convinzione che fosse possibile scalarlo in libera. Il successivo
tiro in traverso , complice anche l'esposizione pazzesca, e la roccia
tremendamente friabile, mi sembrò infattibile ; l'imminente arrivo di un
temporale ci convinse ad uscire in tutta fretta sulla vicina via Gatti.
"Mi
piacerebbe inserire anche la Bonatti alla Costanza nel Concatenamento (NDR: il futuristico progetto nel cassetto del Pota), sarebbe più bello e più
ingaggioso".
Come dire
al vecchio: "...vai a darle
un'occhiata, sistemala un po' e fammi sapere" .
Così l'11
giugno scorso con Marco Maggioni risaliamo il canalone che porta alla selletta
da cui parte la Cassin al versante sud-ovest. Portiamo con noi una gran
quantità di chiodi per sistemare all'occorrenza l'intera via; nessuno spit su
una Bonatti, l'alpinismo per lui ed
anche per noi contempla la lotta con il drago.
Pesava su
di me l'incognita del primo traverso
(quello verso sinistra ) ; avevo anche pensato ad una variante diretta
che lo evitasse ( ed evitasse anche il successivo verso destra ) ma così non
avremmo scalato la Bonatti integrale.
Con questi pensieri procedendo verso l'alto pulendo la roccia, sistemando buoni
chiodi dove possibile e cordini in quelli difficili da moschettone e facendo
qualche collegamento tra i chiodi.
La
variante che avevo immaginato è difficile,
inchiodabile ed illogica.
Bonatti
con il suo grande fiuto e istinto per la scalata aveva visto giusto nell'andare a sinistra.
Il tiro,
che tanto mi preoccupava, dopo aver piazzato un ottimo chiodo giallo ad anello
(in ricordo di Claudio Barbier) si lascia scalare senza troppa difficoltà; la
porta verso l'alto ora è spalancata.
Alla
sosta quattro, quando mancano un paio di tiri alla fine della via, ci giungono
improvvisi il rombare ed i lampi del temporale già sopra i Corni di Canzo .
Faccio un
timido tentativo di proseguire, spronato
da Marco, moschettono due chiodi
ma poi al primo tuono faccio marcia indietro ed usciamo dalla vicina via
Cassin.
"Oggi stato su Bonatti torre costanza,
chiodatura perfetta, tracce di
magnesite , sei tu ?"
"Messo nut sul traverso , potresti lasciarmelo che mi occorre ?".
"Messo nut sul traverso , potresti lasciarmelo che mi occorre ?".
Il giorno dopo ricevo questi due messaggi da Marco Anghileri; lo chiamo subito per conoscere le sue intenzioni future .
Non si
sbilancia ma io comunque gli faccio presente che ho già fatto due tentativi e
sistemato con grande fatica la via con l'intenzione di scalarla in libera,
confidando nel suo rispetto e nella sua sensibilità.
Non posso
andarci subito perché a fine settimana parto per 12 giorni al mare in Sardegna.
Al mio ritorno il tempo non è bello e il mio compagno è pure impegnato con le
gare di nuoto dei ragazzi che allena.
Chissà
chi era il compagno di Walter in quel lontano 1952, magari è ancora vivo e ci
potrebbero raccontare qualcosa della loro salita; ho letto molto di Bonatti ma
non ricordo nulla riguardo alla Costanza.
"Cercavamo di arrampicare il più spesso possibile. Già al primo anno ci siamo
messi su delle vie nuove: ricordo uno strapiombo bestiale sul torrione
Costanza, con una vecchia corda di canapa e un materiale da ridere. Il secondo
ha fatto un volo pazzesco, è pendolato nel vuoto, sono riuscito a tirarlo su
dopo una lunga lotta: eppure il problema più serio sembravano i ragli
dell'asino del rifugio Alippi , lì sotto. Rimbombavano sulle rocce e nei
canaloni, non riuscivamo a sentirci tra noi".
Le parole
di Walter recuperate grazie alla monumentale memoria del mio grande amico
Daniele all'interno di un'intervista rilasciata nel 1987 a Stefano Ardito sono
tutto quello che ci rimane dell'impresa dell'allora giovanissimo ma arditissimo
scalatore.
Ore 6.30
di martedì 2 luglio, parcheggio del Bione. Quando arrivo il Pota è già lì che
mi aspetta e subito dopo arriva Marco; per non essere in tre Matteo ha
contattato un altro giovane aspirante alpinista di Bergamo, che però tarda ad
arrivare. Lo svegliamo noi cercandolo per telefono, lo cazziamo un po' e siccome non possiamo aspettare
un'ora e più al parcheggio, Matteo
rinuncia ad essere della partita e ci lascia campo libero.
Oggi devo
essere all'altezza delle sue aspettative, ma soprattutto delle mie. All'attacco
mi accorgo di aver portato l' imbrago
senza porta-martello e di aver
dimenticato il sacchetto della magnesite. Marco mi cede il suo, che però fa
cagare. Da anni uso solo sacchetti che
mi ero fatto confezionare appositamente quando avevo il negozio e questo contrattempo mi
infastidisce: penso che anche Lynn Hill fallì il primo tentativo di libera al Nose per la mancanza di magnesite. In
più la via non è stata ancora sistemata alla perfezione e rimane l'incognita
dell'ultimo tiro di A3 che non ho mai percorso . Poi però capisco dai primi
movimenti che la giornata sarà perfetta; non so se riuscirò in libera, ma so , dopo 35 anni di scalata , che oggi
scalerò bene. L'ambiente, il
silenzio, il compagno, la bellezza della
via ; tutto è come piace a me e mi mette nella migliore disposizione mentale.
Sul secondo tiro non sono ancora caldo, devo stringere i denti e soffiare come
un mantice per raggiungere la sosta.
Questa è
la sosta un tempo avvolta da un alone di mistero. Si parlava di sosta precaria,
di masso in bilico. Quando vi giunsi la prima volta trovai solo due vecchi
chiodi e delle fettucce che trattenevano in loco un pilastrino mobile. Uno sguardo e un richiamo a squarciagola
verso il canalone sottostante per sincerarci che non ci fosse nessuno e in un
amen, con viva e vibrante soddisfazione, il pilastrino prendeva il volo. Nasceva così una sosta
leggermente più comoda, ma soprattutto vedeva la luce la fessurina che in
seguito avrei farcito di chiodi creando così una sosta sicurissima. Parto
deciso per il terzo tiro, Marco mi tira un poco la corda e tanto basta a farmi
volare ; benissimo i chiodi tengono alla perfezione e la mia nuova corda
arancio è un elastico meraviglioso. In breve siamo sulla sosta nelle vicinanze
del camino Cassin : 5 m di VI- a destra e si esce sulla via del grande Riccardo. Sin qui tutto bene ma
ancora fatico a credere a quanta
perseveranza, bravura, ardimento,
pazzia, intuito e determinazione abbiano dovuto avere quei due ragazzi quassù
oltre sessant'anni fa . Bisognava crederci fortemente.
Parto! Anch'io ci credo fortemente, non so nulla del tiro, neanche dove va, non posso
e non voglio appendermi e lascio in sosta martello e chiodi. Inizio così una
lunga battaglia, in due tre momenti sono stato tentato di mollare, mi veniva da
piangere all'idea di sbagliare. Una lotta interiore, oltre che con l'acido
lattico e la paura per le protezioni precarie; in questi momenti solo con me
stesso e lontano dalla vista degli altri, tutto
quello che sto facendo acquista
un significato superiore ed un'importanza straordinaria e diventa di una bellezza folgorante .
Mi
ritrovo ansimante con entrambe le mani
su una bella lama di calcare grigio, fuori dal duro, devo solo ormai salire su
ottima roccia grigia fino in cima, con le corde che tirano e la gioia nel
cuore. Marco quando mi arriva vicino mi
chiede se l'ho fatta, poiché non ha sentito la mia esultanza, che è stata tutta
interiore.
Poi il solito tran-tran del ritorno fino al Rifugio Porta, dove cerco e trovo il meraviglioso sorriso di Claudio, lui capisce tutto guardando il mio , indovina pure il nome della via salita tanto mi conosce. Poco dopo arrivano il Pota e Alessandra e insieme, sta diventando una bellissima abitudine, festeggiamo per quella che sul mio diario ho definito una giornata indimenticabile.
È solo scalata, ma mi piace. Scalata come gioia. E qui ancora una volta mi vengono in mente le bellissime ed indimenticabili parole di Reinhard Karl:
L' arrampicata nel suo vissuto personale non è influenzata dalla difficoltà tecnica. L'ho risentito chiaramente una sera, 10 minuti prima dell'imbrunire, al Great White Book su al Tenaya Lake ………… All'improvviso il mondo intero è costituito solo ancora di arrampicata, più veloce possibile………..Non abbiamo corda, non abbiamo niente, scaliamo una montagna senza niente . Arrampicammo così in fretta perché la scalata era un grande godimento…………. Per alcuni minuti siamo stati completamente liberi. Era proprio il contrario di una caduta nel vuoto, l'opposto della paura di morire, era la vita, veloce ed intensa……….. Essere per qualche secondo solo in paradiso, nel paradiso dell'arrampicata. Arrampicare come confronto con la natura, arrampicare come un atto sessuale, arrampicare come gioia folle …….
Poi il solito tran-tran del ritorno fino al Rifugio Porta, dove cerco e trovo il meraviglioso sorriso di Claudio, lui capisce tutto guardando il mio , indovina pure il nome della via salita tanto mi conosce. Poco dopo arrivano il Pota e Alessandra e insieme, sta diventando una bellissima abitudine, festeggiamo per quella che sul mio diario ho definito una giornata indimenticabile.
È solo scalata, ma mi piace. Scalata come gioia. E qui ancora una volta mi vengono in mente le bellissime ed indimenticabili parole di Reinhard Karl:
L' arrampicata nel suo vissuto personale non è influenzata dalla difficoltà tecnica. L'ho risentito chiaramente una sera, 10 minuti prima dell'imbrunire, al Great White Book su al Tenaya Lake ………… All'improvviso il mondo intero è costituito solo ancora di arrampicata, più veloce possibile………..Non abbiamo corda, non abbiamo niente, scaliamo una montagna senza niente . Arrampicammo così in fretta perché la scalata era un grande godimento…………. Per alcuni minuti siamo stati completamente liberi. Era proprio il contrario di una caduta nel vuoto, l'opposto della paura di morire, era la vita, veloce ed intensa……….. Essere per qualche secondo solo in paradiso, nel paradiso dell'arrampicata. Arrampicare come confronto con la natura, arrampicare come un atto sessuale, arrampicare come gioia folle …….
Mi vengono pian piano le lacrime. Mi rendo conto: questo è stato un punto culminante nell'alpinismo, forse il culmine dell'emozione, non si può provare di più, è irripetibile. La mente mi dice: "tieniti stretto tutto questo nella tua memoria, ponilo sotto vetro nel tuo scrigno spirituale, questo è oro puro"
E' in questo attimo mi sento straordinariamente
ricco."