Ladro di equilibri


Sono carico di aspettative, forse come tante volte troppo carico.

La tensione gioca spesso brutti scherzi, soprattutto quando tutto dipende da equilibri precari, da movimenti controllati, quasi a dover trattenere il respiro per non sbilanciarsi.

Ma il controllo non basta su questo mozzicone di granito; per venticinque metri di appigli da stringere con la giusta dose di rabbia.

Questo pezzo di protogino rosso fuoco, piovuto da chissà dove nel bel mezzo della cresta dei Cosmiques ha un anima, rude e selvaggia, come la roccia di cui è fatto.

Oggi tutto scorre al rallentatore, le lancette dell’ orologio, il sole nel cielo; persino i gracchi mi appaiono rallentati nel loro volteggiare.


Mi vedo spettatore di me stesso, mi osservo sfilare il pile e rimanere in maglietta, schiena alla parete appeso alla sosta, cercare di far confluire in un unico e duraturo istante, ambizione, rabbia, paura, concentrazione.

Mi osservo partire dalla sosta con la sola consapevolezza di dover stringere le dita su quelle minuscole rughe di roccia, fin quasi a fonderne la pelle con il granito, fin a divenire un'unica cosa con l’elemento su cui mi muovo, con la sola idea di spingere il mio corpo verso l’alto, attraverso una serie infinita di equilibri rubati alla gravità.






E ancora mi sorprendo sospeso su quel pilastro, ad ingaggiare una battaglia senza quartiere con il mio io, con la paura di sbagliare nuovamente, con il mio ego che urla la sua frustrazione!


Appigli e appoggi scorrono in una disordinata miscellanea di sequenze verso l’alto, finché esco dal cono d’ombra della parete e raggiungo la “cima” piatta di questo monolite e ancora incredulo mi godo finalmente l’odiato sole e le voci amiche intorno a me.